Dona un rene alla madre per evitare che finisca in dialisi. Così una giovane donna napoletana ha permesso alla persona che a sua volta le donò la vita mettendola alla luce 34 anni fa, di non dover dipendere da una macchina per il resto dei suoi giorni a causa di un’insufficienza renale cronica.
Storia commovente, di quelle che di rado si sentono in giro e che è possibile raccontare soltanto grazie all’equipe dedicata dell’Azienda ospedaliera universitaria Federico II con a capo il professor Roberto Troisi, che ha effettuato il trapianto assieme al professor Roberto Montalti e (per la parte anestesiologica) al dottor Giuseppe De Simone, utilizzando un’innovativa tecnica robotica minivasiva. “Grazie a questo approccio i rischi per il donatore sono minimi: per il prelievo del rene vengono praticati tre forellini di otto millimetri sul fianco e una piccola incisione nella zona sovrapubica per estrarre l’organo”, spiega il professor Troisi, che sottolinea come con la tecnica robotica, eseguita in Italia soltanto in pochi centri, “il dolore postoperatorio è lieve e il donatore si alimenta nella stessa giornata dell’intervento”. Madre e figlia stanno già bene: la donatrice è stata dimessa dopo appena due giorni di degenza, la ricevente dopo sei. “Il trapianto di rene da donatore vivente è un’opzione migliore rispetto a quella da donatore con morte cerebrale – aggiunge Troisi – perché riduce sensibilmente i costi sociali, i danni e le sofferenze della dialisi, permettendo al ricevente di avere un organo perfetto, garantito al 100 cento per cento, con una funzionalità ottimale sia a breve che a lungo termine. Senza dimenticare – conclude il professore Troisi – che i rischi per i donatori sono minimi”.